This video is called Mark Covell – Genoa G8 2001 – Diaz school.
From Bitish daily The Guardian:
The bloody battle of Genoa
When 200,000 anti-globalisation protesters converged on the Italian city hosting the G8 summit in 2001, all but a handful came to demonstrate peacefully. Instead, many were beaten to a pulp by seemingly out-of-control riot police. But was there something more sinister at play? And will the victims ever see proper justice? Nick Davies reports
It was just before midnight when the first police officer hit Mark Covell, swiping his truncheon down on his left shoulder. Covell did his best to yell out in Italian that he was a journalist but, within seconds, he was surrounded by riot-squad officers thrashing him with their sticks. For a while, he managed to stay on his feet but then a baton blow to the knee sent him crashing to the pavement.
The G8 protesters were brutalised, yet the Foreign Office showed complete indifference: here.
Italy: Judgement in G8 police raid trial: here.
La pessima sentenza di Genova per i pestaggi della Diaz imponeva che
subito dovessero venire dalle istituzioni, dalla polizia, dalla
politica chiari segnali rassicuranti della fedeltà alla Costituzione
delle forze dell’ordine. Per un intero giorno, il silenzio. Un
silenzio non imbarazzato, non pudico, ma quasi soddisfatto. Come se
l’esito minimalista del processo genovese, che si sovrappone alla
mediocre e ambigua conclusione del dibattimento per le torture di
Bolzaneto, potesse chiudere senza danno – “e finalmente” – la ferita
profonda che i giorni del G8 hanno aperto tra lo Stato e la società,
tra le istituzioni e una giovane generazione di cittadini. In questo
assordante e colpevole silenzio, ha preso la parola soltanto Vincenzo
Canterini, il comandante del Reparto Mobile, della Celere di Roma,
condannato a quattro anni di carcere (tre cancellati dall’indulto).
Canterini, il capo delle tre squadre del VII nucleo antisommossa che,
per prime, invasero la Diaz e, armate dei micidiali manganelli “tonfa”
usati al contrario, bastonarono decine di ragazzi e ragazzi, ferendone
82 e riducendone tre in fin vita. Canterini ha scritto ai suoi
“ragazzi” una lettera che è una sfida alla Costituzione, un oltraggio
alla “disciplina” e all'”onore” che dovrebbero orientare, per la
Carta, i servitori dello Stato.
È una rivendicazione di uno spirito di corpo omertoso (“Io e voi
sappiamo benissimo che cosa è successo; ci siamo guardati più volte
negli occhi”). È un avvertimento alle gerarchie che avrebbero
abbandonato il “Reparto” al loro destino (“Abbiamo perso una
battaglia; ma quante volte si siamo sentiti umiliati e forse
traditi”). È soprattutto la riproposizione delle menzogne disseminate,
nel corso di sette anni, per impedire l’accertamento della verità.
Scrive Canterini: “Quante volte chi ci aggrediva pensava di averci
sopraffatto e poi si accorgeva che invece eravamo vivi e fieri di noi
(?) Lasciamo tutte queste persone nei loro passamontagna e con i loro
bastoni”. La verità è che nessuno ha aggredito, nella Diaz, Canterini
e i suoi “ragazzi”. La verità è che nella Diaz non c’è stata nessuna
colluttazione, non fu trovato nessun passamontagna, nessun bastone,
nessuna catena, nessun maglio spaccapietre (come accreditò una sua
relazione di servizio). La verità è che nessuno dei picchiatori di
Canterini fu ferito (anche questo giurò) e i referti medici furono
tutti manipolati.
La verità – la sola verità che pessime sentenze, miopi convenienze
politiche, opportunisti istituzionali non potranno cancellare – è che
quella notte di luglio Canterini e i suoi “ragazzi”, forse dopo
essersi guardati negli occhi, si abbandonarono a un pestaggio brutale
di uomini e donne indifesi e inermi. “Facciamogli vedere che alla
lunga saremo noi a vincere”, è l’esortazione conclusiva di Canterini.
È un’esortazione anche per noi. Se vince un poliziotto come Canterini
perdiamo tutti.
Dopo aver letto il comandante dei nuclei antisommossa sappiamo di non
poterci affidare soltanto alla civiltà e al senso civico delle
polizie. Sappiamo di aver bisogno di difendere con intransigenza le
garanzie offerte dalla Costituzione e i diritti assicurati dalla
legge, quelli calpestati a Genova. Sappiamo di dover ancora pretendere
di sapere (nonostante la giustizia si sia mostrata timida e impotente)
che cosa, come, perché sono state sospese a Genova le regole e
l’umanità; con la responsabilità di chi è nato quel “vuoto di diritto”
che ha consegnato la vita delle persone, spogliata di ogni dignità,
alla violenza arbitraria, disumana che Canterini ha l’arroganza di
rivendicare.
Una domanda, però, pretende una risposta subito. Canterini e i suoi
“ragazzi” possono ancora restare nei ranghi della polizia?
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Far more rewarding was Daniele Vicari’s Diaz’s Don’t Clean Up This Blood, which chronicles the police brutality against protesters at the 2001 G8 summit in Genoa.
For political reasons, it was very difficult to fund the film but the result is brilliant in resurrecting the confrontation that took place and it conceals rewarding depths beneath its surface.
http://morningstaronline.co.uk/news/content/view/full/115580
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